Cosa sono le dark kitchen? Tutto sul fenomeno ristorativo del 2020

Siamo nell’era del progresso. Tutto si evolve. Ogni cosa che conosciamo potrebbe cambiare, indossare nuove vesti. Anche nell’ambito della ristorazione.

Il food delivery – che forse qualcuno conosce ancora solo con il nome di “cibo a domicilio” - ormai da molti anni spopola tra le persone di tutte le età (ma soprattutto tra i giovani). Diciamoci la verità, cosa c’è di più bello – magari dopo una giornata di lavoro, di studio, oppure il fine settimana nelle serate di pioggia e freddo – di una pizza mangiata comodamente a casa propria, da soli oppure in compagnia di amici? “Perché andare al ristorante, quando il ristorante può venire da me?”, si chiedono molti.

Insomma, andare a cena fuori è bello, ma farsi portare la cena dentro casa è meglio. Basti considerare che il succitato food delivery genera oggi un giro d’affari su scala globale pari a 35 miliardi di dollari e si prevede che raggiungerà i 365 miliardi nel 2030 con una crescita del 20% annua.

Ma – come dicevamo poche righe fa – il mondo si evolve. La cucina pure e non poteva non farlo proprio il tanto amato cibo a domicilio.

Dal 2017 è sbarcata in Italia – con epicentro Milano - la “dark kitchen” oppure “pop - up kitchen”, che potremmo anche chiamare - per spirito patriottico - “cucina senza ristorante”.

Cosa sono le dark kitchen esattamente?

Sono proprio delle cucine che non si trovano all’interno di un ristorante. In sostanza vi è solo ed esclusivamente una cucina ed i cibi preparati vengono consegnati a domicilio.

I vantaggi in questo caso sono molteplici. Innanzitutto vi è una sensibile riduzione delle spese per il personale. Di sicuro sono ridotti anche i canoni di locazione per i locali ed il costo degli arredi ed infine, vi è anche un basso rischio di impresa, data la facilità con cui è possibile eventualmente passare ad una offerta ristorativa diversa (qualora ovviamente dovesse rendersi necessario).

Il fenomeno all’estero è già ben sviluppato. I venture capitalist mondiali – notando uno spostamento demografico verso il consumo a casa di pasti preparati e, quindi, un netto aumento della domanda di cibo a domicilio – hanno spostato la loro offerta sulle dark kitchen.

Come funziona una dark kitchen?

È molto semplice. Uno – o più – chef cucinano. Il cliente, comodamente seduto sul divano di casa, in ufficio, ovunque sia, e sulla base dei propri bisogni, seleziona la cucina giusta per lui. Chiama. L'ordine viene ricevuto dalla Dark Kitchen, che è in grado di garantire la consegna nelle tempistiche prefissate dalla piattaforma di delivery: queste definiscono il contratto con il cliente finale (un algoritmo calcola in quanto tempo il cibo deve essere pronto per il passaggio del rider) ed ecco che il cibo arriva direttamente dal cliente.

La maggior parte delle dark kitchen – per motivi di stampo prettamente economico – pratico – si appoggia ad applicazioni digitali legate agli aggregatori per il food delivery, quali ad esempio Deliveroo, Just Eat, Foodora, Uber Eats. Alcuni parallelamente consentono anche il take away. Ma poco cambia.

Esistono vari tipi di dark kitchen. Quelli più conosciuti sono essenzialmente due: cloud kitchen e ghost kitchen (ma va specificato che il servizio non cambia, ciò che differisce è la struttura interna, quindi al cliente non cambia assolutamente nulla).

Cloud Kitchen

Questo è un modello di ristorante in cui diversi operatori condividono una cucina e molti dei costi operativi. È tutti gli effetti un modello di co-working per la ristorazione. Una società immobiliare mette a disposizione di diversi operatori del food service uno spazio pre-allestito con attrezzature e dotazioni tecniche sufficienti per l’avvio di un proprio brand di ristorazione con consegna a domicilio.
All’interno dell’area vi saranno da due a più ristoratori, ognuno gestore della propria unità assegnata e con nessun legame imprenditoriale tra loro. 

Ghost Kitchen

Questo invece è un modello di ristorante in cui un singolo operatore gestisce una laboratorio-cucina remoto, all’interno del quale sviluppa uno o più brand esclusivamente dedicati al delivery che ricadono unicamente sotto la sua gestione. La preparazione si svolge all’interno di un locale che non prevede somministrazione al pubblico e nessuna insegna. 

I diversi brand sono generalmente riferiti a proposte ristorative alternative, sviluppate sulle base dell’analisi dei dati riferiti ai consumi dell’area all’interno della quale opera la Ghost Kitchen.

Il fenomeno delle dark kitchen: perché sono diverse dai ghost restaurant?

La differenza con i ghost restaurant (conosciuti anche come virtual restaurant) è che, mentre questi ultimi si appoggiano a ristoranti fisici già esistenti e rappresentano un modo per renderne più efficienti i costi e allargarne la platea di distribuzione, le dark kitchen nascono spesso in modo completamente autonomo e indipendente. Non vi è alcun ristorante fisico alla base, insomma.

Dark Kitchen in Italia: qualche esempio

Per parlare di casi pratici, consideriamo due città differenti: Milano e Torino.

Nel capoluogo lombardo a spopolare dal 2016 è Foorban, che propone sia piatti tipici della dieta mediterranea che piatti internazionali, con menù completo composto da proteine, cereali, fibre e contorni. Il menù settimanale varia parecchio: dal tradizionale primo di pasta si al pollo al curry, il tutto nell’ottica di migliorare la qualità di vita dei dipendenti. Dipendenti felici e soddisfatti significa automaticamente dire anche dipendenti più produttivi. Questo è il senso insomma.

C’è chi invece nelle difficoltà ha saputo trovare – ed offrire – un’opportunità. Come Glovo, che proprio un mese fa – quando la situazione dei contagi da Coronavirus era a dir poco drammatica e non si sapeva quando saremmo entrati nella Fase 2 - ha aperto a Milano la sua prima Cook Room dedicata alla cucina in outsourcing per i partner della ristorazione. C’è da precisare che lo spirito con cui ha dato vita all’iniziativa non era esattamente questo. La sua mission era tenere insieme due aspetti fondamentali del delivery e cioè l’opportunità di sviluppo ulteriore del business per i partner e il valore aggiunto per il consumatore finale. Ma in ogni caso, visto il periodo in cui effettivamente questo progetto ha visto la luce, i suoi benefici sono stati maggiori delle aspettative.

La Cook Room può ospitare fino a sei partner con spazi dedicati e i primi quattro ad aver aderito al progetto sono Tomatillo, Pacifik Poke, Pescaria e Bun, già operativi nella cucina professionale allestita dalla piattaforma presente in oltre cento città d’Italia.

Anche a Torino il fenomeno delle dark kitchen ha preso piede. Sono nate non molto tempo fa, in pieno centro, il Tortuga Poké e il Tacos & Nachos. Una offre una cucina più salubre e contemporanea, l’altra più classica e golosa. Ma condividono lo stesso spazio ed hanno imparato a convivere pacificamente nonostante le differenze. Nella prima i piatti sono a base di salmone, tonno, ricciola e pollo alla griglia, riso bianco, integrale o cereali, alghe, verdure e salse. Nella seconda invece, ovviamente, è possibile mangiare Tacos e Nachos con pulled pork, chili e cheddar.

Insomma, le dark kitchen sembrano non essere il tipico fenomeno passeggero. Non sono ancora diventate una vera e propria “moda”, non sono ancora così diffuse e neanche così conosciute. Ma i loro benefici sono davvero tanti, sia in termini economici, che pratici. È conveniente per i ristoratori, lo è per i clienti.

È in grado di soddisfare dei bisogni in tempi molto brevi. I suoi lati positivi sono davvero tanti. Quindi in un’epoca che adora particolarmente le mode, ben venga se dovesse diventarlo.

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